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  • Immagine del redattorePaolo Mirri

Uno psicologo per amico? Parliamo del corretto rapporto psicologo paziente

Aggiornamento: 2 ago 2021

Nel mainstream, soprattutto americano, passa spesso un'immagine piuttosto ambigua dello psicologo e della relazione psicologo paziente. Lo “psic” mediatico raramente sta dietro la scrivania (e quando ci sta non è ambiguo, è un pezzo di ghiaccio che fa paura!), talora fa sdraiare il paziente sul divano, gli sta vicino, quasi in distanza intima, spesso gli offre qualcosa di caldo da bere, quando parla lo sguardo si fa languido e soprattutto… non ascolta per niente! Ma in compenso si dilunga in consigli totalmente personali su come gestire le situazioni sentimentali.


Hai già visto qualcosa del genere? Molto probabilmente sì, quantomeno nelle serie televisive o nei film. E questo è forse quanto di più distante dalla figura dello psicologo tu possa immaginare. Credo inoltre che quella sia un po’ una delle immagini più frequenti alle quali viene associato lo psicologo (o comunque la figura “psic”).


In questo articolo cercherò in tutti i modi di sfatare il mito dello psicologo per amico, perché per quanto possa essere intensa, la relazione psicologo paziente non è di amicizia. Con questa spiegazione potrai inoltre capire dei punti salienti nella relazione psicologo paziente di tipo Costruttivista.


Che figura rappresenta lo psicologo?


Voglio darti una definizione molto calzante di ciò che è uno psicologo, l’ha data Vittorio Guidano, uno dei più grandi cognitivisti italiani:


"Lo psicologo, così come lo psicoterapeuta, è un perturbatore strategicamente orientato che gioca il proprio ruolo professionale principalmente attraverso due fondamentali strumenti: se stesso e la relazione che instaura con il cliente."


La parola “cliente” in questo contesto non mi piace particolarmente, io preferisco “paziente”, per il resto la trovo perfettamente calzante.


Perturbatore strategicamente orientato vuol dire che lo psicologo si è fatto un’idea di come funziona il paziente, e quindi gli manda tutta una serie di input per riorganizzarlo emotivamente. Fondamentalmente nel colloquio, dove il paziente parla di sé allo psicoterapeuta (e molto raramente avviene il contrario) avverrà che il professionista porrà delle domande, o farà delle osservazioni, che in una certa misura smuoveranno emotivamente il paziente; insieme i due osserveranno emozioni e pensieri di quest'ultimo e nel tempo la persona potrà di nuovo ricominciare a riconoscersi in sé stessa.


Perché la relazione tra psicologo e paziente non è di amicizia


Questa relazione tra psicologo e paziente è come quella con un amico? Assolutamente no. Forse l’amico, casualmente, può anche perturbare emotivamente, ma non ha una strategia terapeutica, non sa la tua struttura di personalità e soprattutto tende a darti consigli! Cosa che un terapeuta non fa. Lo psicologo al massimo somministra dei compiti da attuare a casa, ma non dà consigli.


I consigli sono lo specchio di come funziona chi li elargisce, ma in terapia si parla del mondo del paziente ed il paziente agisce su di esso con i propri strumenti, non “appiccicandoci” quelli del terapeuta. Questo aspetto è molto importante.


Voglio concludere “umanizzando” un po' lo psicoterapeuta, che così sembra davvero il pezzo di ghiaccio, quello dietro la scrivania che non prova emozioni. Lo psicoterapeuta chiaramente è una persona, prova emozioni, ha un modo di essere tutto suo, talora è lui stesso un ex-paziente o un paziente di un altro psicoterapeuta, ha i suoi modi di fare,ecc.. può anche avere dei modi amichevoli, intendiamoci, ma nella relazione sarà più uno specchio, che un amico. Perché ti rimanderà indietro gli spunti per guardarti dentro.


 

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