Questo 2020 è stato un anno molto difficile.
L’infezione da Coronavirus e la conseguente reazione, prima delle Istituzioni, poi di noi singoli individui, ha colpito tutti, in modo apparentemente indistinto e causando reazioni psicologiche di varia natura. C’è da precisare che questo evento "Covid" secondo alcuni, ad esempio Casagrande et al. (2020) è un evento unico, nuovo, per variabili mediche e socioculturali, e non può essere paragonato ad emergenze tragiche quali terremoti o tzunami o ad altre situazioni catastrofiche e di emergenza.
In questo articolo chiaramente non sarò esaustivo, anche noi psicologi siamo stati colti di sorpresa, ma proverò comunque ad offrire una panoramica della problematica sulla base dei dati che abbiamo raccolto in questo spiacevole anno. Fornirò una rassegna di studi Italiani e soprattutto internazionali sul fenomeno, inizialmente sarà una panoramica della situazione Italiana, poi ci addentreremo maggiormente su alcuni aspetti più specifici, anche su aspetti che si suppone abbiano concorso a questa recrudescenza di sintomatologia psicologica e l'impatto del covid sulla salute mentale, infine vedrai che ci sarà un mio video nel quale, brevemente, darò dei cenni su una linea di intervento Cognitivo – Comportamentale per affrontare questo Stress, la Pandemic Fatigue.
Buona lettura.
Stressati e/o Traumatizzati?
Prima di addentrarci nel tema principale voglio definire molto brevemente cosa sia una reazione da stress. La parola “stress” in realtà la usiamo molto spesso in varie occasioni, diciamo molto spesso “quanto sono stressato!”, “che stress...” oppure “tu mi stressi!”” ed effettivamente è un fenomeno psicologico decisamente comune, e molto spesso probabilmente utilizziamo la parola nella giusta accezione.
Quando ci riferiamo allo stress dobbiamo aver presente che questo non è altro che la nostra reazione psicofisiologica ad un cambiamento (Selye, 1936), un qualsiasi cambiamento ; ovvero avviene un qualcosa attorno a noi e il nostro corpo e la nostra mente mobilitano risorse per riadattarsi alle nuove condizioni. Infatti Seyle parla proprio di “Sindrome Generale dell’Adattamento”, proprio perché ha una ripercussione globale, praticamente su tutto l’organismo, ed è questo che spiega la varietà e la variabilità di sensazioni e di sintomi fisici, psichici e comportamentali di quando siamo… “stressati”!
C’è da puntualizzare un aspetto importante: la reazione da stress è scatenata sì da un cambiamento, ma comunque gioca un forte contributo l’interpretazione individuale e soggettiva del cambiamento, ovvero il significato personale che l’individuo dona all’evento stressante. Prendiamo quindi tutto ciò che c’è scritto di seguito per ciò che è: ovvero i risultati di numerose ricerche che mostrano delle tendenze generali, dei mutamenti nell’ecosistema, ma il significato psicologico soggettivo non verrà trattato in questo articolo in quanto è unico, irripetibile, individuale.
Partiamo ad analizzare subito la sintomatologia da stress, come è incrementata nella popolazione e con quali, generali, caratteristiche.
Durante la quarantena la Fondazione Soleterre è stata una di quelle organizzazioni che si è distinta nel suo lavoro per supportare la popolazione colpita dal lockdown e dal nuovo coronavirus. La Fondazione ha svolto un lavoro di ricerca su 91 casi presi in carico e ha stilato delle valutazioni: la maggior parte dei pazienti seguiti, ovvero 65 su 91 mostra delle tendenze psicopatologiche di varia natura.
Il 33% dei pazienti mostra dei disturbi da stress (31% considerati gravi, il 3% di entità molto grave); emergono dalla loro valutazione anche segni depressivi (23% di entità moderata e il 40% considerati gravi), ansia (37% moderata e 32% grave), rabbia (25% moderata e 23% grave), alterazioni del ciclo sonno-veglia (17% moderate e 22% gravi) e uso di sostanze (37% di grave entità).
Oltre alla teoria dello stress, troviamo tutta una tendenza in ambito psicopatologico, nel considerare questa situazione nella quale siamo alle prese con il coronavirus e le misure di contenimento come un evento traumatico; o meglio un evento che abbia fatto scaturire in alcune persone delle risposte simili a quando si è esposti a un qualcosa di traumatico.
Nella letteratura internazionale iniziano ad uscire alcuni studi su trauma e coronavirus, in uno di questi (Horesh, D. & Brown A.D., 2020) gli autori si appoggiano alla definizione di Disturbo Post Traumatico da Stress riportata nel DSM-5 (Dyagnostic and Statistical Manual of Mental Disease, 5th edition, American Psychiatric Association, 2013) e nel ICD 11 (International Classification of Diseases – 11 , World Health Organization, 2018). Tale disturbo prevede in sostanza un quadro clinico reattivo a un trauma caratterizzato da forte ansia, angoscia, depressione, crisi di pianto, evitamento di situazioni che fanno rivivere l’esperienza traumatica, immagini o pensieri intrusivi riguardanti l’esperienza traumatica e frequenti disturbi del sonno. Gli autori precisano un aspetto non scontato: spesso i traumi coinvolgono episodi o persone specifiche, quindi sono da un certo punto di vista delimitati, in questo caso l’infezione da coronavirus ha colpito praticamente ogni Stato sul Globo (seppure in maniera diversa e con misure differenti da Paese a Paese), quindi è come se ci si trovasse davanti a un nuovo tipo di trauma. Sempre Horesh, D. & Brown A.D. (2020) sostengono che questa crisi, rispetto ad altre, possiede un impatto mediatico, un allarmismo e sono state adottate delle misure restrittive senza precedenti che sono state avvertite in modo molto traumatico dalla popolazione ed hanno incoraggiato uno stato iper-vigile in molte persone.
Misure restrittive, disturbi psicologici e Covid – 19
Abbiamo appena visto come il fatto che vi sia stato un cambiamento, di ordine globale, su vari aspetti della quotidianità, abbia ipoteticamente potuto innescare forti reazioni sul piano psicologico. Andiamo quindi più a fondo nell’esaminare da un lato le preoccupazioni della popolazione, dall’altro più nello specifico quali fattori si suppone possano aver giocato un ruolo nell’esacerbare un possibile “Stress da Pandemia” o da misure restrittive.
In questo anno 2020 abbiamo fatto esperienza non solo dell’infezione da Coronavirus, ma delle misure restrittive che hanno colpito la popolazione nel tentativo di contenere l’infettività del virus.
Voglio sottolineare che gli studi che presenterò in seguito non sono tutti Italiani, sarebbe quindi un errore estendere alcuni dei seguenti concetti anche alla nostra popolazione, perché vorrebbe dire non tenere di conto delle variabili socioculturali. Io li espongo comunque perché possono validamente suggerire delle riflessioni sulle possibili ripercussioni che certe misure di contenimento contro il covid possono aver suscitato sulla salute mentale di molte persone.
Informazioni sul virus
Questa pandemia da Coronavirus ha un impatto mediatico straordinario sin dall’inizio del 2020, iniziato con i filmati cinesi sulla situazione a Wuhan, a come gestivano la quarantena, sino a sbarcare il Italia tra dichiarazioni apertamente contraddittorie e bollettini che hanno, giorno per giorno, contato i morti. Le persone sono state sovraccaricate di informazioni, spaventose, talora anche contrastanti sul nuovo Coronavirus, e c’è da puntualizzare una cosa: quando veniamo a contatto con un’informazione da un certo punto di vista la assimiliamo, sicuramente la elaboriamo. Ora vi presento uno studio che, dal mio punto di vista, fa vedere la forza di questo “bombardamento” di notizie riguardanti questo nuovo Coronavirus. Ricordiamoci che noi abbiamo un’idea del virus (a meno che non lo abbiamo vissuto in prima persona) da ciò che abbiamo assimilato grazie ai media.
L’Istituto Piepoli, un istituto indipendente di ricerca, commissionato dall’Ordine degli Psicologi, sosteneva dalle sue statistiche del primo lockdown che il 63% degli Italiani fossero stressati.
Dall’inizio dell’autunno, quindi praticamente dall’inizio di questa seconda ondata Covid autunnale, ha stilato uno “stressometro”, un’indagine condotta su di un campione rappresentativo della popolazione per valutare quali sono le principali fonti di stress percepite dai cittadini Italiani.
Ad oggi, secondo la ricerca, il 54% delle persone è preoccupata per l’emergenza Coronavirus, anche la condizione economica (44%) e quella lavorativa (37%) però giocano un ruolo particolarmente importante nel contenuto delle preoccupazioni attuali. Secondo il sondaggio sono oggetto di stress anche le condizioni familiari, il rapporto con i partner, l’organizzazione familiare e la situazione politica.
Con questo spezzone del sondaggio, è come se avessimo visto un po’ “dall’alto” la panoramica delle preoccupazioni delle persone, chiaramente donando una visione globale, ben poco definita sui contenuti soggettivi.
Daniel Kahneman (2002) formula una teoria sull’elaborazione delle informazioni. Fondamentalmente il Premio Nobel per l’Economia ci dice che noi umani abbiamo due tipi di sistemi di elaborazione delle informazioni: uno automatico e uno esecutivo di controllo. Il primo sistema, quello automatico, se viene sovraccaricato di informazioni (soprattutto se ripetitive) rimarrà confuso e il secondo sistema non riuscirà a filtrare le informazioni in modo adeguato. L’informazione principale quindi diventerà preponderante nella vita psichica della persona, anche nelle sue scelte, diventerà fondamentalmente la base sulla quale formulerà la maggior parte delle scelte. Potremmo dire quindi che la sovraesposizione alle notizie sul virus abbia portato ad un aumento della percezione di questo e quindi dell’ansia.
Per dare un’altra impronta, altrettanto valida, a questa lettura di come l’informazione quotidiana e le sue ripercussioni, ovvero: chiusure dei negozi, quarantene, zone di vario colore, l’uso “marcato” dei DPCM dai quali non si sa cosa possa scaturire.. abbia giocato un ruolo importante nello stato d’ansia, possiamo citare Seligman (1972). Lo scienziato negli anni ‘70 fece un esperimento che potremmo definire alquanto controverso sui cani: inseriva un cane in una gabbia, e ogni tanto lo sottoponeva a scosse elettriche. Il cane veniva alimentato regolarmente e le scosse, per quanto fossero dolorose, non erano mortali. L’animale ebbe un triste destino, piano piano arrivò ad arrendersi al fatto che non potesse controllare la situazione, si depresse, il suo sistema immunitario crollò drammaticamente (ebbene sì, sistema immunitario e mente sono collegati, guardate tutti i lavori della Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia – PNEI, ad esempio) e lentamente moriva.
Questo tragico esperimento ci fa riflettere su vari aspetti: l’instabilità di un futuro che non possiamo controllare non solo è fonte di un enorme stress percepito, ma produce anche un impatto sulla nostra salute fisica. Percepire le proprie libertà, la propria capacità economica, addirittura ciò che devi indossare, in uno stato di continuo mutamento che spesso conduce a sofferenza non fa altro che proporre una visione del futuro come incontrollabile e spaventoso e a accrescere quindi lo stato di sofferenza/ansia in un circolo che si automantiene.
Restrizioni fisiche
La gestione dello spazio fisico, dei limiti, è fondamentale per qualsiasi essere vivente. In questo 2020 abbiamo visto uno spazio fisico che ci veniva alterato, uno spazio fisico che si allarga e si restringe nel tempo, a seconda di decisioni che piovono “dall’alto”. Vediamo l’effetto che produce questo tipo di misura sulla sintomatologia psichica, vi presento una serie di studi.
Vi sono rassegne studi (Brooks, SK et al., 2020) su popolazioni colpite dalla SARS che mostrano come quarantene di 9 giorni possono portare le persone ad esperire sintomi di distacco sociale, ansia, irritabilità, insonnia, difficoltà a concentrarsi, difficoltà nel lavoro, sensazione di spossatezza. Vengono inoltre messi in luce alcuni sintomi depressivi.
Sempre sugli effetti negativi della quarantena sulla salute mentale possiamo citare lo studio (Jing Zhu et al.,2020) che mette in luce un impatto a dire il vero moderato della restrizione fisica sull’ansia sulla popolazione cinese.
Diversamente alcuni studi italiani (Casagrande et al.,2020; Giallonardo V. et al., 2020) lanciano l’allarme per una probabile esacerbazione di vari sintomi psicologici da quelli ansiosi, depressivi, a quelli ossessivi, post-traumatici, ai comportamenti a rischio.
Nello specifico Casagrande et al. (2020) mostra un forte disagio ansioso delle persone intervistate rispetto alle misure di quarantena, in termini di sintomi ansioso-depressivi e di stress. Lo studio italiano inoltre mette in luce che, oltre alla quarantena, anche le misure di distanziamento sociale sono responsabili di questa recrudescenza di sintomi psicologici e in generale sulla salute mentale delle persone.
Troviamo una notevole discrepanza in questi studi cinesi e italiani sull’impatto della quarantena sui sintomi psicologici, e molto probabilmente ciò è dovuto dagli aspetti culturali molto differenti.
Quarantene e relazioni
Possiamo sostenere che la quarantena ha un impatto relazionale molto forte. Le persone si sono trovate separate, si sono dovute vedere “in segreto”, si sono ritrovate a non poter più gestire spontaneamente gli spazi domestici col partner.
In uno studio (Hongyu Zhao et al.,2020) degli psicologi somministrano a persone sottoposte a quarantena la Beck Anxiety Invenctory (BAI), ovvero un questionario per valutare l’intensità dell’ansia del soggetto. Secondo questo studio si riscontra come vi sia un sostanziale (da moderato a grave) livello d’ansia nelle persone sottoposte a quarantena, soprattutto se comparate a quelle non sottoposte a tale misura. Inoltre una variabile interessante esaminata è lo stato sentimentale degli intervistati: le persone sposate, vedove o separate (con una maggiore incidenza su queste ultime due categorie) erano maggiormente ansiose rispetto alle persone non sposate. Ciò quindi può far supporre che la situazione sentimentale sia effettivamente uno dei fattori da prendere in considerazione nell’analisi del fenomeno.
Le coppie, quindi, sono state particolarmente colpite da questa situazione e di queste sono state studiate le difficoltà relazionali e sessuali (Panzeri, M et al. 2020). Secondo lo studio vi è stata una notevole diminuzione dell’attività sessuale, in parte dovuta alla paura dell’infezione, alla presenza di eventuali figli in casa, e in buona parte derivata dai sentimenti da costrizione dati alla convivenza forzata. In taluni casi è stato osservato uno spostamento delle attività sessuali su pratiche para-erotiche, quali ad esempio il BDSM e un aumento dell’uso della pornografia, quest’ultima come probabile tentativo per compensare il comprensibile senso di solitudine che hanno sofferto molte persone (Uzieblo, K et al.,2020).
Sempre lo studio precedentemente citato di Brooks et al. (2020) sottolinea anche alcune variabili che possono concorrere all’aggravarsi dei vari quadri clinici: la durata della quarantena, la paura dell’infezione, la perdita delle attività quotidiane/abitudini, l’informazione poco trasparente e le inadeguate forniture per affrontare la reclusione. Nello stress Post-quarantena invece cita lo stigma e il clima di sospetto sociale rispetto al virus e i problemi finanziari. Voglio insistere sul penultimo punto, quello del sospetto sociale, proprio perché una distanza “di sicurezza” sottintende la pericolosità dell’altro e quindi emozioni di allarme più marcate alla vicinanza altrui che condizionano pensieri e comportamenti.
Uno studio Italiano, molto interessante, PsyCOVID (Cerami C. et al.,2020), mette in luce anche alcuni aspetti prettamente psicologici con i quali stiamo affrontando questa epidemia. Lo studio ha messo in luce che la percezione di avere una rete di supporto sociale (n.d.a. il quale comunque è un fattore estremamente protettivo per la salute psichica) aumenta la percezione di pericolo nei confronti dell’epidemia; questo fondamentalmente perché la persona inizia a preoccuparsi non solo per sé stesso, ma anche per coloro che percepisce come più vicini.
Lo studio inoltre propone un tema estremamente importante, sul piano psicosociale: la preoccupazione per l’impatto economico. PsyCOVID mostra come persone più empatiche, ovvero con una maggiore capacità di assumere una prospettiva altrui, sono maggiormente preoccupate per la tenuta economica delle imprese, anche se non sono direttamente interessate ai servizi che erogano. Al contempo, le persone più empatiche tendono maggiormente a tutelare la salute altrui e a voler limitare la diffusione del contagio.
Attività online
In questo periodo abbiamo potuto osservare, e molto probabilmente anche direttamente sperimentare, un forte aumento dell’attività online. Da un lato questa è servita ad aiutare a mantenere i legami sociali, anche durante la quarantena partita da questo 8 marzo 2020 che purtroppo ricordiamo bene. In molti casi l’attività online è stata fondamentale per mantenere vivo il contatto con gli altri; se pensiamo ad una persona isolata in casa l’attività online, una semplice videochiamata, per questo avrebbe rappresentato sì una grande risorsa, avrebbe potuto vedere nonostante tutto i suoi cari e i suoi amici.
L’attività online però, in alcuni casi si è rivelata anche dannosa: molte persone hanno ricercato compulsivamente notizie sul nuovo Coronavirus. Come abbiamo precedentemente detto molti sono stati sovraccaricati di notizie e avevano necessità di colmare i loro dubbi e le loro preoccupazioni ricercando sempre più informazioni e il ricercare compulsivamente su internet notizie e sintomi del Covid-19 può aver esacerbato o comunque rinforzato significativamente varie sintomatologie ansiose (Jutel A, 2017).
Conclusione
Questo articolo piuttosto lungo è chiaramente una panoramica, non vuole e soprattutto non può offrire certezze, mette in luce un fenomeno psicologico. Un fenomeno molto vario, diverso da persona a persona, perché il disagio lo esprimiamo secondo le nostre corde.
Quelli che hai potuto osservare sono tutta una serie di fattori che probabilmente contribuiscono a questo “stress da pandemia”, uno stress da covid che impatta notevolmente sulla salute mentale, sul quale continueremo ad informarci e a lavorare.
Questa “Pandemic Fatigue” che è lo specchio di tanta solitudine, di speranze e sogni tenuti in sospeso, di voglia di riabbracciarsi o voglia di fuggire, di allontanarsi dalle persone che si amano ma che al contempo sono troppo, troppo, vicine.
La Pandemic Fatigue è lo specchio di chi è ritenuto non essenziale e ha dovuto chiudere la propria attività e si ritrova adesso con l'acqua alla gola.
E’ il dolore di chi non ha potuto celebrare un funerale e poter dare un Sacro, ultimo, saluto.
E’ la speranza violata di un giovane che vede il suo futuro sempre più incerto, e vede le sue amicizie allontanarsi, e farsi virtuali.
I bambini patiscono la Pandemic Fatigue, ma forse ancora non lo sanno, li vedi correre nei cortili in uno stormo di mascherine bianche che si avvicinano tanto così ma non possono toccarsi, perché, sennò, vedono gli adulti sobbalzare. E mentre corrono apparentemente spensierati si ritrovano sul limite, molto sottile, tra il desiderare il contatto con l’altro e averne il timore, un’ansia che in un futuro potrebbero aver difficoltà a comprendere.
La Pandemic Fatigue è lo specchio di bisogni umani in sofferenza, ma è la sofferenza stessa che ci indica quali sono i nostri desideri, i nostri affetti, e in definitiva ci indica chi siamo e con chi vogliamo stare; con chi e come vogliamo condividere il nostro tempo e i nostri spazi.
Puoi guardare questo breve video nel quale spiego, molto sinteticamente, l'utilità di un intervento psicoterapeutico in questo difficile periodo.
BIBLIOGRAFIA
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