Che cos’è la psicopatologia da web? Iniziamo dicendo che in questo nuovo millennio il mondo online è una vera e propria dimensione parallela.
Mano a mano che si sviluppano le nuove tecnologie troviamo sempre di più la possibilità di immergersi in una vera e propria altra realtà. Quella che maggiormente corrisponde ai nostri desideri, che riflette le nostre paure, quella che ci offre, spesso anticipando le nostre scelte, l’oggetto dei nostri bisogni momentanei.
Questa velocissima rivoluzione tecnologica, a mio parere, è stata fisiologica, era una cosa destinata ad avvenire nel nostro contesto sociale.
Non sono uno storico, ma da quando sono apparsi sulla scena i primi computer, i tempi di sviluppo della tecnologia si sono abbreviati. E questo ha necessariamente portato un impatto significativo sul piano psicosociale.
Società, economia, famiglie, cultura, sono tutti aspetti che si influenzano mutualmente in quanto le società sono un macrosistema complesso. Lo sviluppo su uno di questi piani porta dei mutamenti negli altri.
Chiaramente, come in ogni epoca, se mutano delle condizioni socioculturali, ne risente anche l’espressione psicopatologica di alcuni individui, di conseguenza molte persone riflettono nell’utilizzo del web la loro psicopatologia.
Questo è un po’ il presupposto teorico sul quale muovo la mia riflessione, in questo articolo “psicopatologia da web” è una forma di disturbo che per molti versi riflette il nostro tipo di società.
Tuttavia, ogni contesto sociale ha la propria singolare espressione psicopatologica: vedi la “Taranta” nel Sud Italia o in alcune zone dell’Africa Mediterranea, le possessioni, i disturbi fobici del Dopoguerra, la “fame bovina” Medievale (adesso chiamata “bulimia nervosa”) e via dicendo.
In questo articolo descriverò una psicopatologia da web emergente nella nostra epoca chiamata “hikikomori”, fondamentalmente un quadro di dipendenza da web caratterizzato da un fortissimo ritiro sociale (Moretti, 2010).
Voglio premettere che questo articolo non ha alcuna velleità autodiagnostica e che vuole, parlando del fenomeno hikikomori, offrire uno spunto di riflessione su ciò che vuol dire isolarsi e rifugiarsi in un mondo parallelo: quello virtuale.
Inoltre, voglio proporre una riflessione su una “patologia da web” o una patologia nella quale il web è implicato. Vedremo come l’utilizzo del web possa essere interpretato non come la causa, ma come la punta dell’iceberg di una situazione complessa da più punti di vista.
Hikikomori
In Giapponese “hikikomori” vuol dire “stare in disparte, isolarsi”, di fatto l’isolamento è la caratteristica fondante di questa psicopatologia da web.
Molto spesso (90% dei casi) gli hikikomori sono maschi adolescenti o giovani adulti, con un’età tra i 14 e i 30 anni. Si tratta di persone con un livello socioculturale medio-alto, con una madre particolarmente presente ed un padre spesso assente.
La patologia consiste in un quadro nel quale la persona trascorre la quasi totalità della sua giornata immersa nel mondo virtuale, limitando fortemente la sua presenza fuori da esso.
Spesso l’hikikomori salta i pasti pur di non interrompere la sua permanenza online. Ne risentono vari aspetti della sua vita a partire dalle relazioni nel mondo reale e dall’autonomia nella vita quotidiana.
Il rifiuto del mondo esterno
Il rifiuto dell’hikikomori verso il mondo esterno è talmente forte che non solo coinvolge le persone reali, ma in alcuni casi anche la stessa luce solare.
Di fatto molti hikikomori stanno con le serrande abbassate al fine di proteggersi il più possibile dalla luce del mondo esterno. Si parla addirittura di persone che arrivano a sigillare le finestre con carta scura e nastro adesivo nero.
L’alterazione del ritmo circadiano è un altro aspetto caratteristico di questo quadro clinico: alcuni hikikomori lo invertono quasi totalmente ed arrivano a dormire di giorno e a vivere sul web di notte.
Un’altra dimensione frequente è quella dell’aggressività, spesso diretta sui genitori o sulle figure vicine all’hikikomori. Quando l’aggressività è agita all’interno del contesto familiare in genere si scarica sulla madre, che viene percepita come responsabile della propria condizione di sofferenza.
La relazione con la madre e il padre
Il tipo di relazione abbastanza comune tra adolescente hikikomori e madre è chiamata “amae” (dipendenza). Amae è un rapporto simbiotico nel quale l’indipendenza è vista come un pericolo, la dipendenza come una stretta necessità.
La figura paterna invece è vissuta come assente o irraggiungibile. Il padre tendenzialmente è una persona di successo, che vive la sua vita professionale sul piano agonistico.
Il figlio vede il padre come un modello, ma poco accessibile in quanto troppo evanescente e visto come portatore di un successo ineguagliabile. In sostanza l’hikikomori non si sente all’altezza del padre.
Il mondo esterno dal quale l’hikikomori rifugge è percepito come troppo complesso e le sue regole sono decisamente pressanti. L’adolescente per non provare inadeguatezza verso questo mondo poco ospitale ed agonistico si rifugia quindi nella sua caverna.
Nella caverna vive a stretto contatto con la madre e si crea un mondo alternativo (a volte anche un avatar alter-ego) in una realtà virtuale molto più alla sua portata. Una realtà che può esplorare senza sentirsi inadeguato.
L’hikikomori prova profonda colpa, vergogna e senso di inadeguatezza per non riuscire a sostenere le pressanti richieste del suo contesto di riferimento e del suo sistema familiare. Rifugge le richieste e si segrega nella sua relazione simbiotica e nel mondo virtuale.
La realtà virtuale, quindi, in questa visione delle cose, non è tanto la causa del disturbo (o dei disturbi, aggiungerei io) ma è la via di fuga da un mondo vissuto come fuori dalla propria portata.
Sta in parte qui la dimensione tragica di questa condizione: nell'età dove il giovane dovrebbe aprirsi al mondo, crearsi concretamente un'individualità e spiccare il volo, questo viene vissuto come un ambiente talmente minaccioso da costringerlo a crearsi un alter-ego.
Bibliografia
Moretti, S. (2010) Hikikomori. La solitudine degli adolescenti giapponesi. Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza, IV (3). pp. 41-48. ISSN 1971-033X
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