Smart, in italiano “intelligente”. È questo il termine che sempre di più, da un po' di tempo, si trova di fronte a nuove versioni di oggetti di uso comune (“smart toy”, “smart door”, ecc.) che, nel nostro immaginario, non rimandano certamente al concetto di intelligenza o autocoscienza.
In questo articolo ti parleremo proprio di questo, del rapporto fra queste nuove forme di intelligenza e la nostra, da un lato con la prospettiva di un privacy specialist e dall'altra di uno psicoterapeuta, ed evidenzieremo alcuni aspetti un po’ controversi, con una dovuta premessa: non vogliamo spingere al rinnegare la tecnologia, ma ad utilizzarla per quello che è, ovvero uno strumento.
Alcuni oggetti, quindi, adesso possono essere definiti “smart”, intelligenti (fonte in bibliografia).
Ma allora cos’è cambiato? Cosa porta a definire, per esempio, un frigorifero, “smart”?
Per rispondere, si deve tornare indietro di più di vent’anni, quando per la prima volta si utilizzò il termine “Internet of things” (Internet delle cose), o IoT, ovvero l’estensione di Internet agli oggetti concreti, connettendoli e interconnettendoli tra loro. È qui che, perfino un frigorifero, può risultare intelligente. Queste formidabili nuove versioni delle “cose” sono in realtà oggetti ben diversi da quelli “vecchio stile” che ancora popolano le nostre case, in quanto i primi interagiscono con la persona, comprendono le sue esigenze, la “conoscono”, come potrebbe fare un giorno il nostro smart fridge ordinando “di sua sponte” la spesa al posto nostro, magari “ricordandosi” mediante loro algoritmi di quella salsa che ti era piaciuta tanto e che non avevi più trovato al supermercato.
Quanti pagherebbero per non dover girare per il supermercato dopo otto ore di lavoro con una lista della spesa lunga fino ai piedi? Senz’altro tanti, ma per alcuni la risposta dipende dalla moneta che si usa per lo scambio.
Gli oggetti “smart”, infatti, si “nutrono”, per poter funzionare correttamente, di informazioni del soggetto che interagisce con loro: le sue preferenze, le sue fattezze, le sue abitudini, il suo tono di voce finanche, talvolta, a particolari impercettibili di noi stessi. Attenzione, a questo punto è bene fare una precisazione, siamo nel 2021, non è, e a mio parere, non deve essere sufficiente, tirare le tende per avere “un po' di privacy”, ma è altrettanto giusto sottolineare che si necessita chiarezza dei flussi di informazioni che dal tuo frigorifero (il quale ha provveduto ad una spesa con pochi grassi e senza zuccheri aggiunti visto quanto hai mangiato a Pasqua), passano alla tua smart door, che si apre appena il fattorino con la spesa si presenta di fronte ad essa (ma magari chiede l’identificazione vocale a tua suocera).
Gli oggetti interconnessi tra loro sono, o saranno, potenzialmente in grado di semplificare grandemente le nostre vite, in fondo un tempo c’erano maggiordomi e domestiche, oggi ci sono baby-sitter, personale di servizio et similia, domani la nostra casa sarà autosufficiente (dovrà soltanto tollerare la nostra presenza).
È questo il punto, a parte gli scherzi: quando introduci un oggetto “smart” in casa tua, introduci un qualcosa che imparerà a conoscerti al pari, se non meglio, di una persona che tutti i giorni si prende cura di un certo aspetto della tua vita, condividendo con gli altri oggetti informazioni che ti riguardano. Nulla di male, ma le complessità nella raccolta di informazioni personali che ne deriva ti deve essere ben chiara e chiari ti devono essere i potenziali rischi sia informatici che personali che si corrono nell’utilizzare oggetti connessi ed interconnessi.
L’intelligenza artificiale forse potrebbe conoscerti troppo bene?
Il tipo di convivenza con la tecnologia che ti abbiamo prospettato adesso sembra allettante a prima vista: servito e riverito dal frigorifero, dalla tv, dalla porta di casa o dal forno a microonde. Non hai da faticare, sei stanco per il lavoro, magari stressato dallo smart working e le nuove tecnologie sono così gentili da non farti stressare ulteriormente per tutte quelle altre incombenze della vita quotidiana.
Fare la spesa, cucinare proprio quella leccornia che ti stuzzica, cercare un programma alla tv che ti soddisfi... ci pensa l’IoT a farlo per te!
Riesci a intravedere il problema? Qualcuno sta scegliendo per te, e questo ti provoca soddisfazione. Perché nessuno, forse nemmeno te, sai scegliere come l’IoT sa fare.
Vedi qui entrano in gioco quantomeno due ordini di problemi, i buona parte legati tra loro.
L’autocoscienza
Il primo è sicuramente legato all’autocoscienza dei propri bisogni. Vedi, l’intelligenza umana non è soltanto legata alla risoluzione dei problemi, ma ci sono psicologi come Gardner (1983) (e come me, nel mio piccolo) che credono che l’intelligenza umana sia un insieme di molte componenti: artistiche, matematiche, relazionali, corporee, linguistiche, empatiche. Ognuno entro queste intelligenze ha le sue particolarità e può essere più abile in alcune e meno in altre.
Quando parliamo di intelligenze relazionali ed empatiche chiaramente includiamo entro queste l’autocoscienza, quindi quanto l’individuo riesce a focalizzarsi sui propri bisogni e quanto possa intuire qualcosa di quelli degli altri. E’ anche necessario puntualizzare che riusciamo maggiormente a comprendere i bisogni altrui quando primariamente conosciamo i nostri. Posso inoltre tranquillamente sostenere che la specie umana è arrivata fino a creare gli IoT senza soccombere alle sfide evolutive perché, almeno in parte, ha saputo leggere i propri bisogni di base… quando non c’erano macchine ad anticiparli.
La soddisfazione immediata
Il secondo problema è meno evidente del precedente, ma altrettanto degno di considerazione: in questa realtà al tuo bisogno corrisponde una soddisfazione. Immediata e al 100% corrispondente alla tua voglia. Sembra piuttosto catastrofico, ma se ad una nostra richiesta abbiamo sempre una remunerazione, alla fine perdiamo la voglia, il gusto, di fare le cose. Questo percorso è già iniziato con l’avvento di internet, nel quale basta digitare qualcosa per saziare nell’immediato la nostra curiosità o adesso, per non alzarci dal divano e farci recapitare direttamente le cose a casa. Ricordiamoci che l’uomo ha creato tante meraviglie non perché aveva tutto e subito, ma perché aveva una voglia bruciante dentro di lui di qualcosa ed ha lottato per averla, ha creato per averla, ha immaginato ed ha inventato… ha usato la fantasia.
... quindi l'internet delle cose è dannoso?
In conclusione non pensiamo che la tecnologia IoS sia qualcosa di costituzionalmente dannoso. Un bisturi è dannoso? No, dipende da come lo usi e per cosa. E così pure la tecnologia IoS.
Con questo articolo vogliamo solo farti riflettere su dove ci siamo spinti, adesso un frigorifero può farti la spesa, e questo è meraviglioso da un lato e pericoloso dall’altro, ma soprattutto: è frutto della fantasia degli uomini.
BIBLIOGRAFIA
https://it.wikipedia.org/wiki/Internet_delle_cose
Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell'intelligenza (Frames of Mind: The Theory of Multiple Intelligences, 1983), Feltrinelli, Milano, 1987, 2002
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