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  • Immagine del redattorePaolo Mirri

Pandemic Fatigue: Le ripercussioni emotive del distanziamento fisico.

Aggiornamento: 2 ago 2021

Distanziamento sociale. Un infelice modo di dire che sentiamo ripeterci da Marzo 2020 e che si spera voglia intendere “distanza fisica” , di fatto da un anno ci troviamo fisicamente più distanti. Tratterò il “distanziamento sociale”, per ciò che dovrebbe intendere, distanza fisica, termine peraltro revisionato in “distanziamento fisico” dalla stessa OMS (2020).

Il distanziamento fisico, fino a poco più di un anno fa, era un aspetto della nostra vita quotidiana che ci veniva naturale; adesso con l’arrivo del coronavirus e delle norme restrittive, da abitudine è diventato una regola.

Perché il distanziamento fisico ci fa star male? Ti proporrò qualche spiegazione.



Partiamo da un aspetto teorico fondamentale: in natura il distanziamento fisico caratterizza moltissime specie di esseri viventi, ed è necessario per la sopravvivenza (Manning & M. Stamp Dawkins, 2003).

Hai mai visto gli animali come si comportano con le distanze fisiche? Tendono a preservarle notevolmente.

Guarda gli uccelli appollaiati sui cavi dell’alta tensione, sono più o meno sempre alla stessa distanza. Oppure prendi per esempio i cani, che se sono liberi fanno costantemente giochi di avvicinamento ed allontanamento al fine di testare i limiti dell’altro e poterlo gestire per stare in sicurezza. Parliamo dell’animale uomo, hai mai provato a stare in ascensore, troppo vicino con uno sconosciuto? O in autobus e sentire la mano sudaticcia di un passeggero che inavvertitamente tocca la tua? O, banalmente, quando qualcuno viene troppo vicino. Molto spesso viene da ritrarsi.

Noi animali infatti tendiamo a preservare la distanza fisica in quanto è direttamente legata alla propria sopravvivenza, questa ci preserva dagli agenti patogeni altrui (quindi dalle infezioni) e ci fa controllare un eventuale attacco fisico.

La distanza fisica umana, quella intima, ovvero il distanziamento che osserviamo più frequentemente nei confronti degli sconosciuti, è di circa un metro. La lunghezza del tuo braccio. Se stendi il braccio in avanti dalla punta delle tue dita sino al tuo corpo, quello è il tuo spazio intimo, entro il quale possono entrare senza disturbarti solo coloro di cui ti fidi. In genere i più cari.


La distanza intima sotto stress


Guardiamo adesso cosa sta succedendo in questo periodo in un’ottica un po’ cognitivista: i mass media da un anno ci stanno passando l’idea che la vicinanza all’altro possa causare dei gravi danni alla salute, proponendo in realtà un’associazione che, come ti ho spiegato precedentemente, noi dovremmo avere di già latente dentro di noi. La comunicazione di massa quindi la sta semplicemente esplicitando e la carica di spunti di riflessione (le bare, gli ospedali, frasi “forti”, previsioni più o meno nefaste, linguaggio bellico, ecc..). Gli spunti ci allertano, tra questi scegliamo quelli nei quali maggiormente ci si rispecchia, gli diamo un significato personale, proviamo paura e la generalizziamo alla vicinanza altrui.

Questa paura e questo stato di allerta, ci protegge quindi dalle infezioni, e per uno stato emergenziale (un evento che si risolve velocemente) può anche essere funzionale. I mass media hanno esplicitato un tema di sopravvivenza insito della specie umana, hanno messo quindi sotto controllo volontario un’azione che in natura sarebbe già stata normale.

Uno stato di allerta prolungato, se si cronicizza, può diventare dannoso e portare a stress cronico con importanti ripercussioni psicopatologiche (Seyle, H; 1956).

Alla lunga stiamo diventando intolleranti all’errore. Si sta formando l’idea che l’altro stia diventando un ostacolo dannoso da schivare e non più una persona un po’ innervosita alla quale hai pestato un piede, alla quale porgere scuse.


Una ferita affettiva?


Ci sono poi le persone che possono avvicinarsi a meno di un braccio da noi, quelle che saluteremmo stringendole forte e non con un colpo di gomito. Quelle delle quali vorremmo sentire il calore fisico, non solo quello delle parole.

L’essere umano è un mammifero e sin dalla nascita ha bisogno del calore fisico degli abbracci (H.Harlow,1958). Questi sono il primo strumento con il quale la madre attraverso le sue mani e con la qualità e il calore del suo abbraccio fa sentire al figlio la sua protezione e gli dà conferma della sua esistenza. Almeno in parte è per questo che siamo depressi, le terribili immagini di Bergamo hanno associato la spontaneità di un gesto di profondo amore con una morte crudele, resa ancora più terribile da non poterla celebrare secondo i riti della nostra cultura.

L’essere umano non percepisce questa condizione come normalità, e in questo periodo si dibatte con dolore e rabbia per provare a tener viva la speranza di poterci allontanare ed avvicinare più liberamente nel più prossimo futuro.



 

BIBLIOGRAFIA


Harlow, H.F. (1958) The nature of love. American Psychologist, 13, 673–685.


Manning e M. Stamp Dawkins “ Il comportamento animale”, Bollati Boringhieri, 2003


Selye H., (1956) The Stress of life. McGraw-Hill (Paperback), New York.



 

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